Ci sono storie che quando le senti raccontare al bar, o alla televisione, ti lasciano con la bocca spalancata. Quella di Fabio Ulivastri, primo cavaliere non vedente al mondo a sfidare i normodotati nelle gare di endurance equestre, è senza dubbio una di queste. Fiorentino, classe ’68, ha perso la vista a soli 18 anni a causa di un glaucoma, ma non l’ha data vinta alla malattia: ha continuato la sua vita, ha cominciato a lavorare e nel 2009 – un po’ per fortuna, un po’ per destino – si è avvicinato ad un maneggio in Val di Fiemme: «Sono sempre andato sulle Dolomiti, da ragazzo facevo sci. Poi quel giorno…».
Si è avvicinato ai cavalli…
«Sì, ero in montagna e tutto è nato spontaneamente. Nessuno nella mia famiglia ha mai avuto questa passione. Ho sempre abitato in campagna, ma avevamo altri animali».
E’ scattato subito qualcosa?
«Diciamo che mi è entrata la curiosità. Tornato in Toscana sono andato ad informarmi al Centro Equestre Fiorentino ASD, che è specializzato in riabilitazione equestre».
E il primo approccio con l’animale?
«Avevo un po’ paura dell’altezza. Ma una volta salito in sella, mi sono trovato immediatamente a mio agio».
Ha rotto subito il ghiaccio.
«Sì, un episodio che mi fece sorridere fu quando portai dei mandarini per l’insegnante. Il cavallo girò la testa di scatto e se li prese: non li trovavamo più e poi ci accorgemmo che aveva in bocca il sacchetto».
Un siparietto tra amici. D’altronde lei e il suo cavallo Indagato potete considerarvi tali.
«Molto di più, è come uno di famiglia. E’ un anglo arabo sardo che ha fatto il Palio di Ferrara e pure le prove per quello di Siena: dal 2013 sta con me, è come se avesse capito che sono cieco».
Ci spieghi meglio.
«Non è stato addestrato, non sappiamo come abbia fatto a recepirlo, ma io mi rendo conto che lo sa. E’ merito della sua sensibilità: in gara ci pensa lui a evitare i pericoli, a fare gli slalom tra gli alberi…».
Ecco appunto, le gare: lei può vantare un bel primato.
«Sì, il 26 ottobre 2014 nella tenuta di San Rossore, a Pisa, sono stato il primo non vedente a partecipare ad una gara ufficiale di endurance equestre, arrivando così al brevetto per gareggiare con tutti. Per me è una sfida nella sfida».
Chi la aiuta?
«L’istruttrice Francesca Gentile. Io ho un casco normalissimo ma con un optional: una radio che mi tiene in contatto con Francesca, in sella al suo Angel. Un po’ come in Formula 1 sono collegati con i box, io sono in contatto con lei che mi segnala i pericoli».
Le è mai capitato di cadere?
«Sì. Ma sono errori miei, magari quando mi scivola il frustino. Se il cavallo frena di colpo è perché vede un pericolo: bisogna tenersi forte, è come un motorino che inchioda».
La tecnologia aiuta?
«Siamo gli unici al mondo a usare la chatter box (scatola parlante, ndr), un sistema a impulsi sonori che, con 8 lettere dell’alfabeto, mi permette di orientarmi all’interno di un campo regolare di 20×40 metri».
Così può starsene in autonomia col suo Indagato.
«Mi alleno tre volte a settimana con lui e mi capita di stare in sella anche per due ore. Il cavallo non è disturbato dai suoni, ci fa l’abitudine, come ai rumori degli aerei o dei treni».
Programmi per il futuro? Pensa mai ai Giochi Paralimpici?
«Purtroppo l’endurance equestre non è nel programma paralimpico. Se un giorno dovesse entrarci, sarebbe un sogno partecipare. Per adesso la priorità è trovare uno sponsor per fare un salto di qualità».
E nel frattempo, la sua vita come procede?
«Mi divido tra l’endurance e il mio lavoro. Dal ’94 sono impiegato all’Agenzia delle Entrate, poi ho la grande passione per i motori. Sono un tifoso sfegatato della Ferrari e quando posso vado ai test e ai Gran Premi».
Dai cavalli al Cavallino, il passo è breve.
di Nicola Bambini